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Aidoru. Così in Giappone si pronuncia la parola inglese “idol”, idolo, ed è nella terra del Sol Levante il modo di chiamare le star che, giunte giovanissime all’apice del successo, sono poi dimenticate subito dopo. Nati nei primi anni Novanta a Cesena con il nome di Konfettura, gli Aidoru sono Dario Giovannini, Diego Sapignoli, Michele Bertoni e Mirko Abbondanza.

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06/03/10

Aidoru - recensione di Songs Canzoni su All About Jazz

http://italia.allaboutjazz.com/php/article.php?id=4983

di Luca Pagani


Gli Aidoru pensano in questo Songs Canzoni - Landscapes Paesaggi un mondo nuovo, fatto di esperienze e poesia, ricordi e immagini. Tutti i brani qui contenuti sono esclusivamente strumentali, sebbene i testi appaiano solo nel booklet allegato, come a dimostrare l'inadeguatezza della parola oppure la timidezza nell'esprimersi attraverso la lingua.
Il nome che la band si è dato - "Aidoru" - è la trasposizione in katakana (il secondo alfabeto della lingua giapponese) della parola inglese "Idol". E' il primo di tanti nascondigli.
Prima di immaginare, pensare e creare questo mondo nuovo c'è bisogno di allontanarsi, di scappare dal mondo, quello reale. Ecco il perché dei primi 53 secondi di elettronica "sporca," rubata ad un live set. E' un momento che ci allontana e ci distende prima di "Reportage 01," in cui la chitarra "concepisce" note scandite e una melodia breve, incompiuta citando un pochino il mistero di "Dark Was the Night" di Blind Willie Johnson.
Grande attenzione è stata data dalla band nell'organizzare l'album come un unicuum, nel pensare e creare la sequenza dei brani uno dopo l'altro. In "Loopwalking," la chitarra, sparisce torna e perisce, lasciando vuoti, ma riprende a suonare in "Interludio," un altro brano in cui i musicisti hanno deciso chiaramente di lasciare spazio alla mente dell'ascoltatore. L'arpeggio è pulito, il basso elettrico è rotto e spezza il brano.
Leggermente isolato dagli altri è il brano "Albert Note," un funky non esagerato, tra i Tortoise e Lucio Battisti. E' una melodia indefinita, come le altre che compongono l'album, come lo schematico "Acrosanti," in cui chitarra, basso e batteria fanno gara a chi sparisce per primo o a chi si nasconde. Uno stimolante esercizio di rinuncia alla scrittura più che di improvvisazione vera e propria. 
Possiamo senz'altro considerare come un unico episodio "Meno" e "Ritratto delle correnti," che inzia con una batteria secca ma religiosamente inconsistente, la chitarra straborda, ma successivamente ritorna ad una dimensione più misteriosa e sognante. L'arpeggio rallenta, riprende, non abbiamo idea verso quale direzione si spingerà il brano, in ogni caso, siamo certi che le note ci lasceranno soli, con i nostri pensieri.
All'interno dello studio di registrazione, possiamo spiare le prove di una canzone malinconica, assorta come "Pomeriggio n. 1," senza sapere - ancora una volta - il contenuto del racconto, il significato vero del brano. E' uno degli episodi preferiti.
Ecco poi una parziale risposta ad alcune domande. "Interno," esempio di catarsi del blues, con l'interessante distruzione della materia, con il rumore elettronico, che anche questa volta, ci inganna e ci lascia con i nostri quesiti. 
Sembra un episodio centrale il brano successivo, "110 (Frames)," registrato durante una performance teatrale e composto dall'elettronica, tastiere e dai rumori degli oggetti prodotti dagli attori. Il suono dei gesti. Questo brano ci ricorda - per via del suono docile e meditativo dell'organo - alcuni ambienti acustici del gagaku. E' davvero questo il baricentro dell'album?
La musica, ma non il suono, finisce, ci lascia con "Note/Epilogo," in cui si intuisce un gioco affascinante ma pericoloso e una domanda che fa un po' paura porre: esiste qualcosa di più importante della musica, della sua espressione?

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