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Aidoru. Così in Giappone si pronuncia la parola inglese “idol”, idolo, ed è nella terra del Sol Levante il modo di chiamare le star che, giunte giovanissime all’apice del successo, sono poi dimenticate subito dopo. Nati nei primi anni Novanta a Cesena con il nome di Konfettura, gli Aidoru sono Dario Giovannini, Diego Sapignoli, Michele Bertoni e Mirko Abbondanza.

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27/03/10

Aidoru intervistati su Audiodrome

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AIDORU | Dario e Diego   
Aidoru in giapponese corrisponde a idolo, ma è utilizzato per indicare quelle star che - protagoniste di fulgido e istantaneo successo - spariscono dalla circolazione altrettanto rapidamente. Senza grande clamore o hype particolare, gli Aidoru sono riusciti invece a conquistare un posto d’onore nel cuore degli amanti della musica italiana di qualità, centellinando le uscite e pronti a “restare” tra tendenze avant puntellate da una visione della musica molto personale e caratteristica, oltre che variegata e mai banale. Dolo qualche mese fa hanno ribadito il loro valore con lo splendido Songs Canzoni – Landscapes Paesaggi. Di seguito l’intervista con Dario Giovannini e Diego Sapignoli.





Gli Aidoru di 13 Piccoli Singoli Radiofonici sono gli stessi Aidoru di Songs Canzoni – Landscapes Paesaggi? Partendo da ciò, ci raccontate la “storia” del gruppo?

Dario Giovannini: Bisogna sottolineare che dall'uscita di "13 piccoli" a "Songs Canzoni" sono passati quasi cinque anni, per cui la mutazione è stata notevole oltre che inevitabile. In generale, comunque, nel corso della nostra evoluzione artistica, siamo sempre stati abbastanza eterogenei. Possiamo tranquillamente dire che ogni disco sia stato sempre radicalmente diverso dagli altri. Con "Songs Canzoni" siamo riusciti a far dialogare le nostre singole esperienze disparate maturate in cinque anni di attività. Per quanto mi riguarda la frequentazione con gli ambienti teatrali, per quanto riguarda Diego, l'esperienza di improvvisazione e sperimentazione musicale con tantissimi artisti italiani e stranieri. Per quanto riguarda Mirko e Michele, altri progetti musicali ed extramusicali. La somma di tutte queste esperienze ci ha portato ad un suono molto complesso, ad una concezione dei brani e dei "paesaggi" molto densa e significativa. Considerato che siamo partiti come punk rock band, direi che l'evoluzione è stata notevole.

Diego Sapignoli: Prima di 13 Piccoli Singoli Radiofonici abbiamo realizzato Cinque Piccoli Pezzi Per Gruppo Con Titolo, il primo lavoro ufficiale di debutto al quale sono e sarò sempre particolarmente legato. Dopo un ottimo esordio pieno di soddisfazioni (personali e non solo) abbiamo iniziato l’importante collaborazione con il Teatro Valdoca. Nel frattempo abbiamo concepito “13 piccoli..” arrivando ad un punto di arrivo a livello compositivo basato su criteri che ritengo decisamente superati. Dopo quel momento il gruppo è esploso. La collaborazione con il Teatro Valdoca è andata via via esaurendosi e abbiamo iniziato a collaborare con diversi artisti nazionali ed internazionali sia singolarmente sia insieme. È nata Aidoru Associazione, il Festival Itinerario Stabile e tante altre cose. Il tutto ha allargato enormemente le prospettive. Questi passaggi hanno portato pian piano alla creazione del nuovo disco.

Quanto conta l’improvvisazione e quanto la composizione classica nel definire la vostra cifra artistica? Quanto ha inciso questa dicotomia per l’ultimo disco?

Dario: Questo è effettivamente un punto chiave della nostra ricerca. In quest'ultimo disco siamo riusciti a far vivere entrambi i mondi in un'unica soluzione. La composizione classica è una "tecnica" che in questo disco abbiamo applicato in seguito ad una serie di sessioni di improvvisazioni in cui è venuta fuori prevalentemente l'anima dei brani. Attraverso un processo di riflessione abbiamo poi elaborato il materiale. Il disco, di conseguenza, è il risultato di un approccio assolutamente spontaneo, affiancato ad un processo teorico di drammaturgia sonora.

Diego: Considero l’imprevisto e l’improvvisato una grande risorsa e possibilità. L’ultimo disco è stato concepito partendo da libere improvvisazioni poi semi strutturate in seguito. Una formula ovviamente collaudata nei processi compositivi di tanti, ma che all’interno del nostro modo di lavorare ha segnato una svolta o comunque un ritorno in parte a quando scrivevamo brani per gli spettacoli teatrali. Partivamo da un solo suono, da suggestioni visive e poi via via si delineava tutto il resto.

Cosa ha portato alla scelta di dividere idealmente il disco in “Songs” e “Landscapes”? “Semplice” catalogazione o il desiderio di rimarcare  determinate fascinazioni trasversali che si ripartiscono tanto in un ambito che nell’altro, tanto da renderli in qualche modo interscambiabili?

Dario: Diciamo che effettivamente c'è paesaggio nelle canzoni e viceversa. Semplicemente si poteva effettivamente pensare che certi "paesaggi" non potessero essere assolutamente delle canzoni e che certe canzoni fossero effettivamente tali. Comunque in noi è sempre stata presente una forte suggestione immaginifica, paesaggistica. In questo disco in un qualche modo è stata concettualizzata e dichiarata. Abbiamo cercato una modalità per ricalcare gli aspetti formali di un paesaggio cercando quindi di non essere schiavi delle griglie formali (forma canzone, per esempio) prestabilite.

Quando l’artwork e il disco sono inseparabili. Com’è nata e cosa comporta la scelta di titoli “sintetici” per i pezzi e l’idea di riempire i bordi e gli interni del booklet delle parole di Roberta Magnani?

Dario: Avevamo bisogno di qualcosa che desse uno spunto, un aiuto alla percezione del nostro messaggio in musica. Abbiamo pensato che delle parole poetiche potessero essere il metodo più efficace per suggestionare senza dettare. Per quanto riguarda i titoli abbiamo sempre avuto una ricerca abbastanza particolare. Diciamo che i titoli nascono anche un po' a tavolino. Cerchiamo di inventarci titoli un po' pittorici, talvolta richiamando le metodologie classiche tipo "Sonata n.1" o “Scherzo In Mi Min.” Per noi un pomeriggio può diventare come un paesaggio una forma musicale. Da qui nasce ad esempio "Pomeriggio n.1".
Oppure "Ritratto Delle Correnti" può essere il titolo di un quadro.




Le “radici” musicali degli Aidoru?

Dario: Gli Aidoru provengono di comune accordo dal punk. Poi ci sono state le evoluzioni più disparate. Un elemento distintivo è stato sicuramente lo studio della musica classica in maniera piuttosto approfondita.

Diego: Le radici risalgono al Punk come attitudine, libertà come scelta di vita e la musica classica come trattamento di certe dinamiche, come approccio verso il lavoro che si sta creando. Sembrano due caratteristiche opposte l’una dall’altra, ma in maniera personale credo si sia trovata una formula abbastanza funzionale.

Gli Aidoru live come funzionano?

Dario: Il live degli Aidoru è sicuramente molto più d'impatto rispetto al disco. Tendiamo generalmente a trattarci come un "quartetto cameristico elettrico".
Per cui a risultare quasi come un concerto di musica classica. Non utilizziamo basi e cerchiamo di suonare assolutamente tutto dal vivo. Anche il suono cerchiamo di omogeneizzarlo, raccogliendo tante sorgenti sonore in uniche amplificazioni. Non ci sono tante parole e generalmente il flusso del concerto inizia con l'inizio e finisce con la fine, un po' come se fosse tutto un concept. Tanti dicono che il risultato è un po' come guardare un film o assistere ad uno spettacolo teatrale.

Diego: Dal vivo dilatiamo molto le strutture. Alcuni brani su disco sono un’istantanea che sul palco sviluppiamo, improvvisando e non. Abbiamo un suono molto acustico e l’utilizzo dell’impianto audio è minimo ed in alcuni casi superfluo.

Le possibili vostre mutazioni future?

Dario: Nostre propaggini in altre discipline e altri progetti musicali si stanno già consolidando da tempo. Ci piace pensare di essere un gruppo aperto e variegato. Viviamo tantissime esperienze al di fuori degli Aidoru e tendiamo a tenere tutto estremamente aperto e in comunicazione, in modo da poter creare un suono sempre fresco ed innovativo. Abbiamo in progetto l'uscita del disco delle registrazioni della nostra versione di Tierkreis di Karlheinz Stockhausen e poi sicuramente ci metteremo al lavoro per un nuovo disco. Ci piacerebbe tanto trovare una formula comunicativa per far capire al nostro pubblico le innumerevoli sfaccettature che il nostro progetto sta maturando nel tempo. Comunque, di base, c'è un'estrema curiosità nei confronti di tutte le altre discipline artistiche, all'insegna della contaminazione e della trasversalità.

Diego: Personalmente mi piacerebbe molto confondere ulteriormente i nostri connotati. Mi immagino di creare il nuovo disco partendo da suoni diversi dalla solita formazione due chitarre, basso e batteria.

Link utili:

www.itinerariofestival.it/Aidoru/Homepage2.html
www.myspace.com/urodia

A cura di: Giampaolo Cristofaro [giampaolo.cristofaro@audiodrome.it]

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