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Aidoru. Così in Giappone si pronuncia la parola inglese “idol”, idolo, ed è nella terra del Sol Levante il modo di chiamare le star che, giunte giovanissime all’apice del successo, sono poi dimenticate subito dopo. Nati nei primi anni Novanta a Cesena con il nome di Konfettura, gli Aidoru sono Dario Giovannini, Diego Sapignoli, Michele Bertoni e Mirko Abbondanza.

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19/02/10

Aidoru su l'isola che non c'era

Trovarobato
2009
Durata: 50:00
Brani migliori:
Modale
Albert None
Arcosanti
di Ilario Galati

Raccogliendo da una parte canzoni propriamente dette – le prime undici – e dall’altra sonorizzazioni di ambienti e luoghi – le ultime sei – il nuovo lavoro degli Aidoru, il quarto in più di dieci anni di attività, presenta una divisione più concettuale che formale, dato che a farla da padrona dal primo all’ultimo brano, sono proprio i landscapes. Paesaggi sonori rigorosamente strumentali, sospesi tra tra post-rock, ambient e una certa propensione jazzistica che rappresentano ormai un marchio di fabbrica per il gruppo di Cesena. Evocativa e minimale, la musica degli Aidoru sceglie la strada della sottrazione e dell’asciugatura, eliminando orpelli e amplificando la propensione emozionale della propria musica.

Dalla sua, Song Canzoni – Landscapes Paesaggi, che esce per la Trovarobato, l’etichetta dei Mariposa, ha un approccio molto internazionale alla materia, forse più americano che anglosassone, e vanta passaggi di sicuro impatto e valore. Quello che però emerge alla lunga è una tendenza che lambisce minacciosamente il sottofondo, perché se alcuni pezzi, come la psichedelica e nervosa Albert None e l’altrettanto abrasiva Meno, scelgono la strada del ritmo - decostruito, smozzicato, zoppicante - in altri episodi, invece, la band tende ad un informe, per quanto sofisticato, calderone sonoro. Del resto gli Aidoru hanno sempre avuto con la loro musica un approccio multidisciplinare e, alcune di queste composizioni, pensate per il teatro e altre arti performative, sono evidentemente penalizzate dall’ascolto domestico.

Il nuovo disco del quartetto, dunque, è un lavoro cerebrale, colto, ma a volte un po’ troppo elitario e distaccato, che rischia di limitare uno dei punti di forza del gruppo, quell’attitudine a creare una musica minimale, ma non per questo avara di forti emozioni. I ragazzi hanno comunque mestiere da vendere, capaci come sono di tirar fuori dai loro strumenti un sound maturo e interessante, al servizio di arrangiamenti pensati per esaltare sfumature, colori e soprattutto silenzi di queste rarefatte composizioni.

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